domenica 22 maggio 2011

Disoccupazione e formazione: 4 domande a... Pietro De Viola

Pietro De Viola è l’autore di Alice senza niente, romanzo gratuito pubblicato in rete nel mese di ottobre 2010 (ben più di 10.000 copie scaricate in pochi giorni!) e che troveremo in libreria dopo l’estate edito da Terre di Mezzo Editore. Pietro è stato un mio collega di Università (proprio così, la medesima Facoltà di Scienze Politiche!) e sono ben contenta di rivolgergli un paio di domande in merito all’argomento chiave del suo libro (oltre che uno spaccato di realtà): il precariato e il senso di frustrazione di un’intera generazione. La nostra, per intenderci.

Pietro, è ormai diventata standard la frase “i giovani non hanno voglia di lavorare”. Non credi sia piuttosto superficiale sentenziare, senza un dialogo con i diretti interessati per comprenderne le difficoltà?
Ho smesso da tempo di ascoltare chi giudica, chi sentenzia, senza prima preoccuparsi di discutere le problematiche. Non è solo un comportamento superficiale, è criminale. Perché in gioco ci sono le nostre vite, la mia, la tua, quella di chi ci sta leggendo adesso. E se non hai un lavoro non stai vivendo davvero, stai solo sopravvivendo.

Ultimamente è stato dato particolare rilievo alle professioni tecnico-scientifiche e alla riscoperta degli antichi mestieri (orafo, calzolaio, falegname ecc.), che secondo gli esperti offrirebbero “grandi prospettive che nessuno coglie”... Sei d’accordo?
E’ assodato che la nostra formazione non era adatta a fronteggiare le sfide poste dal mercato del lavoro in mutamento e globalizzazione. Ma gli esperti che oggi suggeriscono a me, laureato con 110, di impiegarmi come saldatore, sono gli stessi che dieci anni fa sapevano benissimo dove stavamo andando, e hanno taciuto. Giusto per non far calare le iscrizioni alle nostre facoltà. Ho un ulteriore appunto. Siamo sicuri che investire per anni nella formazione accademica dei propri cittadini, e poi consigliare di svolgere mansioni sotto inquadrate, sia la soluzione? Non è che forse è un enorme investimento perso per sempre?

Probabilmente, alla luce di ciò, sarebbe il caso di ridefinire il binomio istruzione/lavoro proprio dall’offerta formativa, rinnovando i programmi di studio, bilanciando sapientemente teoria e pratica, organizzando seminari e laboratori di approfondimento, così che i ragazzi possano scegliere liberamente e consapevolmente il proprio futuro (da artigiano, ricercatore, attore, medico ecc.) Un po’ ciò che la scrittrice e docente Paola Mastrocola ha suggerito nel suo ultimo libro
Togliamo il disturbo. Cosa ne pensi?
Come non essere d’accordo con questa impostazione? Io dico: assolutamente si. E’ fondamentale ampliare l’offerta formativa, e tenere bene a mente l’obiettivo primario: l’ampliamento dei saperi e delle conoscenze. Applichiamo il discorso alla realtà attuale. Crisi economica mondiale, sconvolgimento di quelli che saranno gli assetti geopolitici futuri. Noi ne usciamo vivi, da questa crisi, solo puntando su sviluppo, ricerca, intelligenza e creatività. E quindi la formazione, soprattutto se alta e specialistica, è fondamentale. Insomma si, serve ancora studiare, anzi è obbligatorio.

Chi cerca lavoro oggi cade nella rete dei “senza esperienza”: un circolo vizioso, perché se nessuno ti apre la porta, il CV non migliora da solo! E, se ti adatti a ciò che trovi, l’esperienza che accumuli “non è attinente al ruolo”. Sono ancora tante le scuole e le università che non offrono la possibilità di stage e tirocini consentendo una formazione davvero a 360°: credi, a questo punto, che la provenienza da questo o quell’altro Istituto possa essere una discriminante nella scelta di un candidato?
La provenienza è, credo, sempre stata tenuta in grande considerazione. Ce ne accorgiamo adesso probabilmente perché la “fame” di posti di lavoro è superiore rispetto al passato.
D’accordissimo sul fondamentale legame tra università e azienda. Noi, purtroppo, non abbiamo avuto alcuna opportunità in questo senso. Di stage, nella mia Università, non ho mai sentito nemmeno parlare.
Ne ho sentito parlare tantissimo dopo laureato invece! Come quando ti offrono di lavorare esattamente come tutti gli altri tuoi colleghi a tempo indeterminato, ma usano la forma della stage: giusto per non pagarti.